Mio fratello ed io avevamo prenotato una camera nell’ostello di San Pietroburgo vicino all’Hermitage che era veramente un buco.
Ci stavano solo le prese, una specie di attaccapanni e il letto matrimoniale. Sopra il letto un’enorme finestra, senza persiane né tende, da cui entrava la luce. Entrava sempre perché era metà giugno e cominciavano le notti bianche.
Oltre ad essere una celebre opera di Dostoevskij, che non finirò mai di citare e rileggere, le notti bianche sono un fenomeno atmosferico delle regioni vicine al Circolo Polare Artico e quindi possono essere ammirate anche in altre città, della Russia o della Norvegia, per esempio.
Siccome il sole non tramonta mai in modo completo e il cielo rimane chiaro durante la notte, vi dirò nei fatti cosa ha significato trovarsi lì in quel momento: file interminabili di turisti, musica, eventi, caldo, foto, tutto molto diverso dalla mia prima volta da sola in inverno, dormire con il sole, svegliarsi con il sole, che, voglio precisare, non è così piacevole, specialmente se avete un’enorme finestra nel vostro buco di camera che non si può coprire. Anche in Lettonia il periodo di luce si era allungato e mentre eravamo di ritorno a Riga ci si preparava alla festività più popolare dell’anno, tra il 23 e il 24 giugno, quando si hanno il maggior numero di ore di luce e il minore di oscurità.
Per quanto non siano così piacevoli neanche le mattine buie, come succede soprattutto nel mese di novembre, credo che nulla sia per me più sconvolgente della troppa luce.
A novembre la Lettonia comincia a riempirsi di candele e luminarie, che sono ovunque e non vanno via fino a marzo.
Sembra sempre Natale, onestamente è magico.
Non dimenticherò mai l’11 novembre, giorno di Lāčplēsis, quando il muro del castello di Riga si accende grazie al contributo di tutti e lungo le strade si muovono e sollevano fiaccole.
Questa celebrazione, a prescindere dal significato, se la sentiate oppure no, è davvero commovente, come la messa ortodossa della domenica nella Cattedrale di Kazan’.
Mio fratello ed io abbiamo fatto il pieno di luce prima di lasciare la Lettonia, alla fine di giugno 2019. Una volta abbiamo camminato fino al mare, poco prima della mezzanotte, e c’era ancora il rosa del tramonto. È stato bello.
Ci siamo seduti sulla riva della Neva e abbiamo visto le crociere correre sotto i ponti levatoi, sotto il cielo bianco, e ci siamo detti che tutto stava finendo. Avremmo salutato gli amici, la nostra scuola, il nostro grill bar preferito, dove per caso abbiamo cenato la prima sera che siamo arrivati a Jūrmala e poi siamo tornati sempre. Questo posto si chiama Muca ed è illuminato come una giostra tutto il tempo, offre carne e birra buonissime, è fatto di legno. Quando lasciavamo un po’ di mancia al personale, la cameriera suonava il campanello. Uscivamo dal locale con il suono di quel campanello.
Se dovessi rappresentare la fine, preparerei una sequenza di quadri, dove ci starebbero sicuramente le doppie porte di casa e di tutti gli edifici lettoni e russi, il khachapuri georgiano, la sauna di Natale con mamma, papà, mio fratello e Roberta, la neve di Vilnius, poi fotogrammi indistinti e compressi.
Poi il campanello. Si esce da Muca. Si esce da un mondo.
Alla fine delle cose non so se c’è buio o si vede la luce. Gradirei che foste ancora con me per il prossimo ed ultimo capitolo.