La Russia
Sebbene ciò non piaccia affatto, la Lettonia è legata ai russi in modo piuttosto evidente.
Complici la vicinanza geografica e soprattutto le vicende storiche, anche piuttosto recenti.
Quello che i lettoni, come altri, non possono in assoluto perdonare a Madre Russia è il periodo Soviet di deportazione, proibizione e leggi severissime.
È tutto un “questo non era possibile all’epoca dei Soviet”, “le chiese sono state distrutte dai Soviet”, “no celebration during the Soviet time“.
Abbiamo aiutato il personale del kindergarten nella nostra scuola per qualche giorno. Se un bambino era di famiglia russa, lo comunicavano sospirando oppure con una smorfia.
Poi, un giorno, abbiamo aiutato il personale di un’altra scuola per un’importante competizione poetica.
Quello stesso giorno ho scoperto di cosa si trattasse con esattezza: una giuria lettone esaminava concorrenti esclusivamente russi in prove di lettura, lingua, letteratura e cultura esclusivamente lettone.
Come se a distanza di anni dalla “russificazione” si fosse passati, in maniera più o meno sottintesa, ad una “lettonificazione” della gente russa che ormai da secoli lavora e abita stabilmente in terra lettone.
È proprio vero che uno si porta addosso milioni di pesi, di cui mai può liberarsi.
Il più greve, certe volte, è quello della storia del suo Paese, seppure con essa egli c’entri ben poco, né la sua opinione, spesso contrapposta, abbia mai occasione di contare.
Noi paghiamo gli errori di un uomo solo, come diceva Denis sul balcone di Mosca. I russi li pagano in Lettonia, per esempio.
E io ricordo che quel giorno doveva essere un momento di poesia, ma nelle aule ordinate, nell’eleganza dei costumi e dei fiori, nell’apprensione generale, non scorgevo nulla che fosse poetico.
Una donna disse: “Ho chiesto a Igor chi fosse l’uomo bianco“.
Bianco in lettone si dice baltais (non a caso mar Baltico significa “mare bianco”) ed è un colore caro agli artisti lettoni, che lo associano, come molti d’altronde, alla purezza, al bello, alla virtù e alla spiritualità.
Compare sulla bandiera nazionale, sui tessuti e le fasce della tradizione, nel repertorio dei canti, in tante accezioni differenti, ma tutte buone.
Questo lo so perché all’inizio dell’anno scolastico mi hanno regalato un libro dove era spiegato.
“Lo sanno tutti, ma cos’ha risposto Igor?! Ha detto che l’uomo bianco è il pupazzo di neve”.
Seguì una boccaccia, perché Igor aveva 9 anni, era russo e dell’arte lettone non capiva un accidente.
La Russia è quel posto dove il giorno del tuo compleanno ti verrà cantata una canzone triste, che parla di temporale, pozzanghere e di una fisarmonica.
È lo strumento del coccodrillo Gena, protagonista di un famosissimo film d’animazione sovietico che mi hanno fatto guardare, insieme all’Oscar 1981 Mosca non crede alle lacrime (entrambi di spessore lodevole).
Gena è solo, in cerca di amici, e ha un cuore grande. Le sue canzoni sono belle e difficili, le ho studiate tanto.
Per me i russi sono così.
L’effetto non cambia, se si analizzano Dostoevskij, i formalisti, Šostakóvič, Čechov, Stanislavskij o il coccodrillo Gena.
Tutti sono belli e difficili.
Il mio desiderio era conoscerli, ignorando le cronache, i commenti, l’impatto iniziale e le opinioni dei lettoni.
Se non si è disposti a questo, meglio cancellare la Russia dalle mete di viaggio.
Ogni cosa diventerebbe un trauma.
I rubli, i controlli, la metro, i controlli, le distanze, i controlli.
Se non si è inclini alla sopportazione, non si può essere russi.
Non credo di aver mai incontrato persone più pazienti, propense all’attesa e in un certo senso alla rassegnazione.
Dunque, ero su quel treno che da San Pietroburgo avrebbe corso tutta la notte per arrivare a Mosca.
Ci ero salita senza l’aiuto di Yaroslava, e non era la prima volta che incredibilmente accadeva.
Avevo conosciuto Yaroslava su internet, una lunga storia.
Ci eravamo sentite spesso prima del mio viaggio in Russia e lei mi aveva dato due indicazioni chiare: non muoverti dal punto in cui l’autobus si fermerà (perchè mi sarebbe venuta a prendere) e non cambiare gli euro in banca (perché me li avrebbe cambiati lei).
Ovviamente successe che l’autobus si fermò in un punto diverso da quello previsto, c’era moltissima neve, non prendeva il mio cellulare, non avevo contanti, non sapevo assolutamente dove fossi, né dove andare.
Questo fu, in sostanza, il mio benvenuto in Russia.
Non sono una che va nel panico, di solito. Lì andai nel panico.
Immaginai le peggiori tragedie, le più grandi truffe… e se Yaroslava non esistesse e se mi avesse mentito e se morissi qui e nessuno lo sapesse mai…
In pratica, credetemi, se non avessi superato e sopportato quei venti minuti di rassegnata attesa, pazientemente, da vera russa che non sono, avrei solo dato di matto.
Invece Yaroslava aveva capito.
Quella mattina indossava una pelliccia nera, cambiò più volte itinerario per raggiungermi.
Il nostro incontro fu concitato, brevissimo. Non capii niente.
Mi diede le sue chiavi di casa, duemila rubli e un messaggio con tutte le indicazioni.
“Devo scappare a lavoro, ci vediamo”
E io rimasi sola a cavarmela, appena giunta nell’immensità di San Pietroburgo, alla ricerca del suo appartamento, facendo attenzione ai marshrutka che sono diversi dalle altre circolari e a una valanga di cose nuove, curiose.
Ancora non so spiegarlo, ma non mi persi e alla fine tutto fu possibile.
Il mio viaggio in Russia è stato nel complesso più significativo degli altri perché, al di là di quello che noi tutti possiamo cercare e magari trovare in un posto, che ci interessi o meno, si è caricato di sorprese e sensazioni inenarrabili.
Una parte della canzone del coccodrillo Gena dice: “Non importa se chi passa e mi vede felice non ne capisce il senso”.
A San Pietroburgo ho vissuto nell’appartamento di una straniera che mi ha dato piena fiducia.
Una persona che dà piena fiducia rischia tantissimo.
Per questo, quella mattina, io non toccai niente, tirai fuori dalla valigia un regalo e scrissi a Yaroslava:
“Ci vediamo presto. Grazie di tutto, in tutte le lingue del mondo”
Yaroslava non è dolce, è affidabile e sincera.
Mi ha sempre ricordato di cavarmela da sola, e ha fatto bene.
Ero sola su quel treno russo, mi guardavo intorno.
Non sapevo ancora che fosse una sintesi della Russia stessa, con le sue varie etnie, la religione ortodossa, le guardie vigili, le mamme giovani, la pulizia.
Guardavo tutti, ogni cosa.
Era uno spettacolo, ma dovevo agire anch’io e allora seguivo i movimenti di qualcuno, li copiavo.
Perché su quel treno russo ci si cambiava, spogliava, prendeva le proprie lenzuola, preparava il proprio letto (sopra, sotto, dovunque si trovasse), pochissimo spazio, solo il corridoio libero, nessuno scompartimento, tutti insieme, a dormire, chiacchierare, bere tè, lavarsi, leggere, guardare film, arrampicarsi. Tutta la Russia insieme.
Ancora non so spiegarlo, ma c’era comunque ordine e silenzio. Sotto di me una mamma scherzava con la sua bambina. Le loro voci sono l’ultima cosa che ho sentito prima di addormentarmi.
Devo dire che ho dormito meglio sul coach della vecchia casa in Lettonia e in condizioni scomode che sui materassi in lattice le notti che sono tranquilla.
Anche dormire è un lungo viaggio.