Avrei voluto partire come parto sempre, con una grande valigia e un grande sorriso. Partire è bello, non dev’essere una storia triste.
Eppure io sono partita solo con una grande valigia, lasciando l’Italia il primo settembre 2018, insieme a mio fratello.
Dell’Italia ho dovuto parlare sin da subito, nella scuola lettone dove era attivo il mio progetto europeo e, in generale, alle persone che partecipavano ai numerosi eventi interculturali organizzati in tutta l’area. Alcune volte, semplicemente, ho dovuto parlare dell’Italia a sconosciuti curiosi, incontrati lungo il cammino. Credo che l’idea migliore che abbia avuto al riguardo sia stata, ancora una volta, scrivere un pezzo. Di teatro, per la precisione. Un monologo.
Questo monologo, in inglese, è stato da me interpretato durante un camp in Bielorussia, davanti a bambini e ragazzi dagli 8 ai 30 anni circa. Non tutti capivano l’inglese, sebbene il mio fosse piuttosto elementare, infatti qualcuno traduceva velocemente in russo ciò che dicevo. Non tutti, inoltre, avevano chiari i concetti di teatro e storytelling.
Alla fine del mio pezzo, sono venuti a dirmi cose come: “Mi dispiace per quello che ti è capitato”, “Hai bisogno di un abbraccio”, “Restiamo abbracciati”. Con alcuni di loro sono rimasta abbracciata per giorni, chiedendomi in fondo se esista il confine fra noi e quello che raccontiamo, dove esattamente si trovi. Perché in fondo stavo bene in quegli abbracci ed ero anch’io dispiaciuta per quello che avevo passato. L’Italia, nel mio pezzo, era una sedia vuota, un uomo che non ascoltava.
Io parlavo sola tutto il tempo e recitavo da sola anche la sua parte. Con questa mestizia nel cuore, impaziente di cambiamento e certa di non tornare indietro, sono partita per un anno in Lettonia.
Da quel primo settembre 2018 fino al 29 giugno 2019, data ugualmente memorabile per altre ragioni, non sono più rientrata in Italia. Ero convinta che l’esperienza in Lettonia sarebbe stata di fatto una fuga dal mio paese. Ma è stata molto molto altro, come i racconti.
A tutti coloro che si accingono a partire e si sentono strani, vorrei dare un suggerimento concreto: fissatevi sulle azioni, di qualsiasi tipo.
Controllate i documenti, chiudete le borse, rispondete ai messaggi, mangiate. Riempite i momenti di azioni. I pensieri vorranno avere la meglio, ma si vincono con le piccole azioni. Partire non è niente, dura poco.
Il nostro volo diretto da Bari per Riga è arrivato in ritardo, verso sera. All’aeroporto ci aspettavano la preside della scuola, con in mano dei fiori, e il coordinatore del nostro progetto. Ci hanno dato il benvenuto in Lettonia, sottolineando che era tardi. I lettoni sono estremamente puntuali e se potessero non si fermerebbero ad aspettare nessuno.
Ci hanno accompagnati a Jūrmala, nel quartiere di Bulduri, dove si trovavano la scuola e l’appartamento in cui ho abitato con mio fratello. Durante il viaggio in macchina abbiamo scambiato poche, silenziose parole. I lettoni, in generale, chiacchierano poco e utilizzano un tono di voce basso, specialmente quando parlano inglese. Ci hanno dato alcune indicazioni, che abbiamo compreso a fatica. Ricordo bene la luce del tramonto e gli alti alberi lungo la strada. A guardare quegli alberi mi sarei persa un milione di volte e la natura avrebbe iniziato a guarirmi, come sempre è stato detto.
Non faceva freddo. Quella del 2018 è stata un’estate insolita.
A tutti coloro che giungono in terra straniera per la prima volta, vorrei dare lo stesso suggerimento concreto: fissatevi sulle azioni, di qualunque tipo. Controllate i documenti, sistemate le borse, accendete le luci, aprite il frigorifero, fate la prima spesa per riempirlo, camminate nei dintorni, mangiate. I pensieri vorranno spaventarvi, ma si vincono con le piccole azioni.
È successo un piccolo fatto spaventoso la prima notte in Lettonia. Siamo rimasti chiusi fuori all’edificio del nostro appartamento. In Lettonia, salvo eccezioni, per entrare nei condominii si utilizza un codice. Non ci sono citofoni, né chiavi comuni.
Noi sapevamo il nostro codice e io avevo prestato particolare attenzione a segnarlo, già provando in qualche modo angoscia di non riuscire più ad entrare in casa. Il problema è che se si sbaglia a digitare i numeri, bisogna resettare e ripetere, poi girare quella specie di pomello a destra. Questo, ovviamente, non lo sapevamo. Nessuno ci aveva informati.
In generale, se fate domande, i lettoni rispondono. Sono anche molto gentili. Se, però, non fate domande, non si mettono a dare spiegazioni. Chiacchierano poco, l’ho già detto, e noi non avevamo domandato nulla.
Erano circa le 23:30. Tutto era silente e buio.
Non volevo chiamare il nostro coordinatore, dal momento che lo avevamo già infastidito per via del ritardo. E di nuovo era tardi. Non sapevo cosa fare. Siamo rimasti fermi a lungo, in attesa di una soluzione. La soluzione era un’unica finestra illuminata in mezzo al giardino, dove addentrandomi potevo bussare. Mio fratello non era d’accordo. Ho calpestato il terreno molliccio, facendo attenzione ai rami degli alberi. Ho bussato alla finestra, chiedendo aiuto, ma senza urlare. Un ragazzino ha attraversato il corridoio della stanza che riuscivo a vedere a malapena, ma senza voltarsi. Ho bussato nuovamente, dicendo please più volte. Alla fine un uomo è spuntato alla finestra. Non ci speravo. Non parlava né capiva l’inglese.
Allora gli ho indicato la porta dell’edificio, mimando la situazione da vera italiana nel mondo. Lui ha capito, è uscito in pigiama dal suo appartamento e ci è venuto in soccorso. Ha spiegato come funzionava il tutto e da quella notte, quando capitava di incontrarci, ci ha salutati sempre, in un modo diverso dagli altri.
A tutti coloro che stanno per dormire in una casa diversa, come e quando ci riescono, vorrei dare un suggerimento concreto: studiate un unico spazio, una camera, e chiudete le porte di tutte le altre. Continuate a fare azioni, finché non sarete stanchissimi. Spostate oggetti, pulite, preparate il letto, cercate gli interruttori, le prese.
Io sono stata fortunata.
Ho dormito con mio fratello, come quando eravamo piccoli. Stretta su uno scomodo couch. Se doveste essere soli, come poi sono stata più avanti, vale lo stesso. Occupate un solo spazio, fate azioni e rimpicciolitevi. Anche la notte non è niente, dura poco.