Di caporalato e sfruttamento in agricoltura si parla spesso e volentieri solo quando fa notizia. Con il riaccendersi delle lotte sindacali, quando per le condizioni inumane di lavoro muoiono braccianti, arsi dal sole e dall’usura delle tante ore per tanti giorni di seguito sui campi, per i casi di razzismo e violenza gratuita nei confronti dei tanti immigrati che in quei campi lavorano, per lo stato dei ghetti, insediamenti informali di baracche e strutture abbandonate. I riflettori si accendono per poi spegnersi dopo pochi giorni senza indagare le condizioni sistemiche che fanno sì che il caporalato e lo sfruttamento agricolo siano di fatto dei fenomeni strutturali.
E poco o nulla viene raccontato delle vittime dello sfruttamento. Corpi senza storia da accudire o da rispedire a casa, a seconda dei punti di vista. Persone senza voce, rac-contate da altri e da lontano, con il linguaggio della propaganda politica e della retorica mediatica.
Le storie che ci sono state inviate per il contest “Oltre il ghetto” sono invece racconti decentrati. Seguono i percorsi dei protagonisti che ci fanno entrare nelle pieghe dei loro vissuti. Ci fanno entrare in contatto con i valori, i sogni, le ambizioni, gli insegnamenti appresi dalle esperienze di vita, il senso della vita, dell’amicizia, delle relazioni di ciascuno. E si esprimono con il linguaggio liturgico della preghiera, della poesia, del canto e i percorsi imprevedibili della memoria che taglia e cuce il tempo passato, presente e futuro e dà senso a quel che ci accade.
Tutte le storie partono da lontano. Il desiderio di dare concretezza ai propri sogni e alleproprie ambizioni; lo scontro con persone, contesti socio-culturali, economici o familiari, che ostacolano o rendono difficile la riuscita personale; la prospettiva e la speranza di potercela fare altrove, spesso in Europa; la decisione di emigrare e il viaggio che, di fronte al mancato riconoscimento dei propri passaporti, diventa un percorso impervio che può durare anche decenni ed espone a violenze, torture e sopraffazioni, all’indebitamento e alla schiavitù, che per le donne significa finire nella morsa delle prostituzione.
Un pericolosissimo gioco dell’oca denso di imprevisti, la cui riuscita o fallimento dipende dagli intermediari incontrati lungo il tragitto.
E questa è solo la partenza! Perché anche l’arrivo spesso non è altro che la prosecuzione di questa discesa agli inferi. “Quando sono arrivato a Rosarno mi sono chiesto: èquesta l’Europa?”, si chiede Ibrahim Diabate, arrivato in Italia dalla Costa D’Avorio nel 2008, tra i fondatori dell’associazione SOS Rosarno, impegnata in un’agricoltura rispettosa della natura e dei diritti dei lavoratori, e ora mediatore per Mediterranean Hope, progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), attivo sull’accoglienza e i diritti dei migranti.
Tutte le storie che sono arrivate testimoniano questo viaggio che porta dritti verso i ghetti e forme di sfruttamento. Una corrente impetuosa difficile, se non impossibile, darisalire, al ritmo del ciclo delle colture stagionali, lungo tutto il meridione, e dei passaparola che permettono di trovare lavoro e dimore precarie e poco sicure. Un vicolo cieco che appare senza via d’uscita.
Ma i ghetti sono luoghi intorno ai quali gravitano anche associazioni per i diritti umani e civili, sindacati, organizzazioni non governative, unità di strada, enti religiosi, associazioni culturali, attivisti. In questi luoghi di insediamenti e contatti informali, queste figure si sono rivelati intermediari fondamentali per invertire l’inerzia delle esistenze dei protagonisti delle storie inviate. Persone di cui aver fiducia in un contesto che costringe a essere guardinghi e a non fidarsi di nessuno. Una fiducia conquistata giorno dopo giorno e che ha dischiuso per ciascuno possibilità e alternative al ghetto e allo sfruttamento inimmaginabili.
Per Eric, di origine ghanese, finito in una condizione di irregolarità lavorativa e giuridica e di forte dipendenza dall’alcol, quasi completamente cieco da un occhio in seguito a un incidente, è decisivo l’incontro con suor Paola, che insieme ad altre suore di Cerignola provvedeva a dare cibo e coperte ai lavoratori stagionali che soggiornano nei casolari di Borgo Tre Titoli, nel foggiano. Suor Paola metterà in contatto Eric con l’unità di strada per vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo della cooperativa sociale Oasi 2 di Trani e darà inizio al suo percorso di fuoriuscita dallo sfruttamento grazie alla sinergia di più servizi e alla ferrea volontà di Eric, che ora lavora come agricoltore nell’ambito dell’agricoltura sociale.
Dina, una volontaria, aiuterà Patience nel ritrovare tutti i suoi documenti e nella sua ricerca di un nuovo lavoro e di una abitazione lontano dalla Pista di Borgo Mezzanone, sempre nel foggiano. Ora, Patience vive in una casa in affitto a Borgo Mezzanone, torna alla Pista solo per prendersi cura dei suoi cani ed è entrata a far parte dell’associazione Ufficio Migrantes come mediatrice per aiutare chi, come è successo a lei, si trova in difficoltà.
Batch Mballow non smette mai di ringraziare una signora che le aveva dato un numero da chiamare mentre era in fila per le procedure di riconoscimento a Lampedusa. Era il numero dell’ARCI Porco Rosso di Palermo. L’ARCI ha aiutato Batch a fare appello contro il foglio di via e, successivamente, a uscire da una situazione di sfruttamento nel corleonese, in Sicilia. Batch ora fa il mediatore culturale proprio per Porco Rosso: va nei ghetti di Campobello e Cassibile per ascoltare le esigenze e le storie dei braccianti immigrati che lavorano in condizioni di sfruttamento e vivono in situazioni disumane. L’incontro con gli operatori del Cestrim consentirà ad Amina, arrivata in Italia dalla Nigeria dietro la promessa di un lavoro dopo essere passata per il Niger, il deserto, la Libia, di uscire dal giro della trat-ta e dello sfruttamento e di poter lavorare nei campi libera.
E poi c’è la storia di TAM TAM Basket che, attraverso lo sport come mezzo di inclusione sociale, cerca di dare speranza, futuro e alternative allo sfruttamento a ragazzi e ragazze di seconda generazione tra i 12 e i 18 anni dell’area di Castelvolturno, in Campania. Gli allenatori e i volontari si prendono cura dei ragazzi e offrono supporto anche ai familiari. “Se vedessi un giorno uno dei miei ragazzi ingaggiato da un caporale, ci rimarrei molto male – racconta l’allenatore di TAM TAM, Antonelli – significherebbe che ho fallito nel mio lavoro”.
Il percorso di fuoriuscita dallo sfruttamento non si conclude con il riscatto personale. Per tutti i protagonisti delle storie arrivate, il percorso di libertà si realizza nel dare la possibilità e gli strumenti agli altri per potersi a loro volta riscattare. È questo il senso dell’attivismo di Ibra, trasferitosi dal Piemonte per unirsi alla lotta dei braccianti di Rosarno e i suoi progetti per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro; della sete di conoscenza di Batch e il suo sogno di diventare infermiere e tornare magari un giorno in Gambia per avere cura dei suoi connazionali; del riscatto di Drissa che ha trovato nel cibo e nella cucina il linguaggio per una sua strada in Italia e per aiutare gli altri; della resistenza, la tenacia e il coraggio di Patty che si è liberata dai ricatti di chi la voleva nelle catene della prostituzione e ora lavora perché le voci dei migranti nei ghetti siano ascoltate; dell’impegno di Tam Tam Basketball.
“Se un giorno dovessi abbandonare Rosarno senza aver portato a termine il lavoro da fare nel territorio, mi sentirei un colpevole”, racconta ancora Ibra. “Solo così potremo essere felici del lavoro fatto, fieri di noi e dire alle nuove generazioni: avete ottenuto questo grazie al lavoro che abbiamo fatto noi, grazie alla lotta che abbiamo portato avanti fino al termine”.
Angelo Romano – Staff “Oltre il ghetto” Camera a Sud